Cagliari e il retaggio punico

Cagliari e il retaggio punico

Lo stagno di Cagliari Santa Gilla nel secolo scorso - prima per le bonifiche, che hanno interessato anche la foce dei suoi due immissari (Cixerri e Flumini Mannu), poi per l’ampliamento del porto-canale e il nuovo percorso della SS 195 Sulcitana - si è ridotto da 43 a 13 kmq, perdendo anche le antiche saline. Tuttavia esso rimane la principale area di sosta, in Europa, del fenicottero rosa, lo splendido volatile che porta nel nome il riferimento al famoso popolo d’origine libanese insediatosi sulle coste sud-occidentali della Sardegna nell’VIII secolo a.C., forse dopo aver fatto tappa in Spagna (Cadice) o, secondo alcuni studiosi, nelle Baleari.

La scelta di privilegiare per i nuovi insediamenti le lagune costiere era dettata sia dal timore di reazioni ostili da parte dei “nativi” che dalla possibilità di procurarsi facilmente del pesce, oltre che dal fatto di poter procedere in sicurezza al carico di barre e lingotti di metallo semilavorato, che avrebbero potuto sbilanciare la nave. In cambio i mercanti fenici fornivano alle popolazioni locali, dette “nuragiche”, tessuti e vasellame di alta qualità, oltre a profumi, unguenti e “rimedi” vari.

A differenza di Sulci (S. Antioco), Karalis (Cagliari) non era prossima alle miniere dell’Iglesiente, tuttavia il fertile Campidano e la piana del Cixerri non erano difficili da percorrere e offrivano anche una discreta quantità di prodotti agro-alimentari.

La nascita dell’impero persiano, nei primi decenni del VI secolo a.C., segnò il definitivo distacco dalla fenicia Tiro della sua maggiore colonia africana, Cartagine.

Secondo molti storici sardi, nel VI secolo a.C. si assiste a una netta discontinuità tra l’atteggiamento pacifico dei fenici, commercianti ormai pienamente integrati nel contesto dell’economia isolana, e la scelta “aggressiva” dei cartaginesi, giunti sull’Isola dalle vene d’argento dal Tirreno (Olbia) dopo aver stretto un’alleanza strategica con gli etruschi, anch’essi intenzionati a sbarrare il passo all’espansionismo ellenico. L’inizio di tale linea politica si fa risalire alla campagna verso l’interno guidata nel 540 a.C. da un generale di lungo corso, Malco, il quale peraltro non riuscì ad aver ragione dei “sardi nuragici”. Negli anni seguenti i punici preferirono quindi dirigersi verso i centri costieri e le colonie fenicie. Incontrarono resistenza a Cuccureddus, località prossima a Villasimius, all’estremità orientale del Golfo di Cagliari, che venne data alle fiamme; Karalis, indifendibile, preferì accogliere il presidio punico. I nuovi padroni decisero di spostare l’abitato a est dell’isolotto di San Simone, verso i due colli Castello e Tuvixeddu. Il primo fu rafforzato, nel IV secolo, da una cinta muraria; sul secondo sorse, tra l’altro, la necropoli ipogea, di cui la successiva edificazione ha lasciato tracce molto labili.

La Cagliari cartaginese conobbe una certa fioritura economica e amministrativa quale punto di raccolta dei tributi (specie i cereali) del Campidano. All’epoca dell’Impero Romano, cioè pochi secoli dopo la conquista punica dell’Isola, nel porto di Ostia, dove il grano proveniente dai porti del Mediterraneo veniva caricato sui barconi fluviali che raggiungevano Roma, l’associazione tra “navicul[ares] et negotiantes Karalitani”, vale a dire, l’azione concorde di “armatori e agenti di commercio cagliaritani” dà il titolo a uno dei 58 grandi mosaici dedicati ai porti d’origine delle merci in arrivo al principale scalo commerciale dell’Urbe.

Tuttavia questa immagine dà conto dei successi della marineria cagliaritana in un’epoca in cui il Mare Nostrum poteva fiorire, senza la minaccia dei pirati e in presenza di significativi investimenti. L’economia della Sardegna punica fu sempre condizionata dall’ostinazione con cui il senato di Cartagine perseguì, nei secoli, il controllo della Sicilia Occidentale. L’isola Icnussa, per la sua distanza dal Continente, non attirava investimenti; era considerata un serbatoio cui attingere quando la situazione in Sicilia si faceva critica. A essa si richiedeva la costante fornitura di grano, e anche di uomini, ad esempio un forte contingente utilizzato dai cartaginesi impegnati nel 480 a.C. presso Imera.

Gli “idoletti sardo-fenici” dell’ornitologo Cara e lo Stadio Amsicora.

Per molti secoli la fonte principale per la storia della Sardegna antica è stata l’analisi delle (scarse) fonti greco-latine in cui era menzionato un luogo o un evento. La completa distruzione di Cartagine, sulle cui rovine al termine della III Guerra Punica (146 a.C.) sarebbe poi sorta una colonia romana, ha reso impossibile ricostruire in modo continuativo le vicende amministrative dell’isola sino al III secolo a.C.

Tale situazione ha determinato accese dispute tra studiosi, ad esempio quella su dove si sia svolta, nel 258 a.C. la battaglia nelle acque antistanti la località detta dalle fonti Sulsi o Sulci: per alcuni il riferimento è a Sant’Antioco, altri invece la collocano dall’altra parte dell’isola, tra Arbatax e Tortolì. I primi scavi archeologici condotti secondo criteri “moderni” si debbono all’iniziativa del canonico Giovanni Spano, cagliaritano d’adozione, e risalgono alla metà del XIX secolo, quando già da tempo in altre regioni l’attività dei tombaroli, più o meno autorizzati dalle autorità locali, aveva portato al recupero (ma anche all’improvvida distruzione e/o al trafugamento) di molti oggetti, magari buttati solo perché privi di valore venale.

A Cagliari nel corso del XIX secolo si andò oltre: non pochi “reperti” infatti vennero fabbricati a bella posta, per ragioni di prestigio e di lucro. L’ornitologo (e impagliatore) Gaetano Cara forse venne preceduto da altri, ma fu senz’altro il maggiore beneficiario dell’operazione truffaldina. Divenuto amico di Alberto La Marmora (che sarebbe divenuto nel 1849 “comandante dell’Isola di Sardegna”, dopo essersi stabilito da anni sull’isola), il Cara era riuscito, nel 1840, appena nominato direttore del Museo Universitario di Cagliari, a vendere alcune centinaia di “bronzetti” al re Carlo Alberto. In seguito il suo giro d’affari (mascherato da supposti ritrovamenti nelle necropoli sarde, e in particolare quella di Cornus) s’allargò alla Francia e a Londra. Questa vicenda ricorda, sotto certi aspetti, il celebre caso delle “Teste di Modigliani” recuperate a Livorno nel 1984, quindi è difficile capire sino a che punto i notabili cagliaritani che avallarono l’autenticità di quei manufatti siano stati anch’essi ingannati dal Cara. Il quale si servì del caporale Giuseppe Ullu, che aveva a disposizione un luogo ideale per realizzare i “bronzetti” ed evitare l’intervento d’eventuali curiosi: la fonderia dell’Arsenale, protetta dal segreto militare. Tra i personaggi di spicco che rinunciarono ad approfondire la vera origine di tale copiosa messe di bronzetti sono stati citati in particolare lo Spano e l’architetto Efisio Tocco: un professionista molto attivo a Roma prima e dopo l’Unità, cui Cagliari deve il restauro e riutilizzo dell’acquedotto romano. Meriterebbe un approfondimento anche la figura dello stampatore e collezionista Efisio Timon, buon amico del Cara. Nel 1859 il governo, dovendo compensare i “patrioti”, nell’anno in cui “si faceva l’Italia”, affidò il Museo Universitario al marchigiano Patrizio Gennari, un botanico che non aveva motivo di dubitare del Cara. Questi nel 1863 ebbe la sfrontatezza di pubblicare l’opuscolo “Sulla genuinità degli idoli sardo-fenici esistenti nel Museo archeologico della Regia Università di Cagliari”. Fu solo vent’anni dopo, quando i protagonisti erano ormai tutti defunti, che il giovane docente Ettore Pais, d’origini sassaresi, giunto alla direzione del Museo, decise ch’era tempo di liberarsi dei pezzi acquistati o donati dal Cara. Nelle cantine del Museo venne posta una grande “Cassa di legno contenente numero 264 turpi statuette di ottone di bassa lega rappresentanti divinità mostruose. Essi idoletti sono falsi”. Era sindaco di Cagliari l’on. Francesco Cocco Ortu, cui interessava, in quel 1883, mantenere rapporti cordiali con un parente di Ettore, l’on. Francesco Pais Serra. Così il caso ebbe scarsa risonanza; dopo pochi mesi il direttore prosegui la sua (brillante) carriera di studioso sul Continente. In seguito l’on. Pais Serra divenne famoso per aver portato a termine un’approfondita inchiesta sull’economia e la società isolana, da cui scaturì la Legge speciale per la Sardegna dell’agosto 1897 voluta da Francesco Crispi.

Pochi mesi prima un gruppo di giovani cagliaritani guidati da Raffa Garzia (figlio del cav. Raimondo Garzia, gerente de L’Unione Sarda e sodale di Cocco Ortu) aveva fondato una delle prime Società Sportive del Regno, con sede nel quartiere di Bonaria. I fondatori decisero di dedicarla a un eroe punico: Amsicora, reggente di Cornus, protagonista, nel 215 a.C., di una sfortunata campagna militare contro le legioni di Roma. Questa società, superata la crisi degli anni della Grande Guerra, fu in grado nel 1923 di offrire a Cagliari l’agognato stadio, destinato a diventare il “tempio” del calcio cittadino. Dalla metà degli anni ’70 la vicenda dei bronzetti sardo-fenici venne ricostruita dal grande archeologo Giovanni Lilliu, all’epoca consigliere comunale a Cagliari, e pubblicata dall’Unione Sarda.

La sede e i dipendenti della filiale Banco Desio  di Largo Carlo Felice 38, Cagliari

Ultima modifica 07/02/2024